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METAFOTOGRAFIA(3). IMAGOMORFOSI E ALTRE RICERCHE

Simone Bergantini, Silvia Bigi, Achille Filipponi, Christian Fogarolli, Kensuke Koike, Rachele Maistrello, Ryts Monet, Orecchie D'Asino, Giulia Parlato, Paola Pasquaretta, Claudia Petraroli, Giovanna Repetto, Carloalberto Treccani, Lorenzo Vitturi, Martina Zanin

A cura di: Sara Benaglia, Mauro Zanchi. Con la collaborazione di Francesca Lazzarini

Dal 25.09.2021 al 24.10.2021

Fondazione MIA – Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo

Progetto promosso da: Fondazione MIA – Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo

Con il contributo di: Comunità Bergamasca, Comune di Bergamo

25.09.2021 - 24.10.2021

METAFOTOGRAFIA(3). IMAGOMORFOSI E ALTRE RICERCHE

Il progetto triennale denominato “Metafotografia” è una ricognizione dentro la scena contemporanea italiana – diventata anche una pubblicazione in tre volumi, una trilogia per dare voce a una estensione corale -, che racconta come stia cambiando oggi il modo di fare e pensare le immagini, dentro e oltre i mezzi che le producono. Il nome è un punto di partenza, qualcosa che verrà modificato o sostituito nel corso degli anni a venire, dentro un processo aperto, entro una ricerca iniziata nell’ambito della fotografia italiana a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Duemila. Gli approcci metafotografici presi in esame sono articolati e declinati attraverso legami, contingenze o allontanamenti rispetto al medium fotografico. Già vent’anni fa, Rosalind Krauss aveva preso in esame la “condizione post-mediatica” e la necessità di “reinventare la fotografia” ogni volta che si materializza la sua obsolescenza. In ogni epoca si è sempre cercato di reinventare il medium, soprattutto dal Novecento in avanti con una velocità sempre più incalzante. In ogni momento storico si prendono in considerazione inedite problematiche dell’attualità, i condizionamenti dettati da nuove scoperte scientifiche e i dispositivi tecnologici che entrano nella vita di milioni di persone innescando altre possibilità e utilizzi.

Mauro Zanchi e Sara Benaglia hanno aperto dialoghi con artisti, curatori, critici, direttori museali, docenti, evitando di sovrascrivere e di sovra-determinare. La direzione esplorativa è la distinzione disciplinare tra fotografia e arti visive, per cui sono state privilegiate quelle ricerche che rendono sempre meno netto questo confine. La distinzione tra fotografia e immagine si è fatta e si fa ogni giorno sempre più sottile: emblematiche sono le immagini artificiali create da algoritmi, che elaborano dati e hanno una temporalità diversa da quella della fotografia classica; esse accolgono nel loro processo produttivo una prevedibilità che distorce in esse una certa linearità temporale; l’algoritmo dei processi digitali fa sì che una parte del loro futuro sia già stata decisa.

In particolare, la terza ricognizione di Metafotografia è un ulteriore tentativo collettivo di ripensare insieme i termini, i limiti e le logiche con cui produciamo o veicoliamo immagini e immagini fotografiche, tentando sconfinamenti o reinvenzioni attraverso diverse declinazioni.

La maggior parte degli artisti che utilizzano il medium fotografico o che hanno un approccio metafotografico con la realtà preferiscono agire con l’“immagine” ed estendere il significato della loro ricerca in direzione dei fenomeni che sono stati presi in considerazione dai visual studies e dai cultural studies, da nuovi approcci iconologici e da altri campi di ricerca legati a questioni visive. Forse è vero che nel tempo attuale sia più corretto parlare di immagini piuttosto che di fotografie, visto che il fotografico è stato inglobato nella complessa macchina combinatoria dell’iconosfera, tra la rete e gli smartphone, tra i social e qualcos’altro che ancora non conosciamo. Ci sono numerose declinazioni del termine “immagine”, anche ibridazioni fra diversi tipi, utilizzi e direzioni diverse. E la fotografia veicola tutte queste tipologie di immagini senza essere ciò che esse rappresentano dentro il medium che le ha messe in visione. Inoltre i sensi di un’immagine non dipendono esclusivamente dall’autorə ma si rinegoziano o contrattano anche di volta in volta con i fruitori – i quali a loro volta appartengono a diversi contesti culturali e sociali e ogni volta saranno diversi nei vari punti e spazi del tempo -, oltre ogni semplicistica lettura unidirezionale.

Tendiamo a ricordare le immagini a partire dalla specifica forma mediale che le ha veicolate, che le ha rese visibili a noi per la prima volta, rielaborate successivamente nella nostra memoria. Per Hans Belting, ricordare significa innanzitutto liberare le immagini dai loro media originari e poi dare loro corpo nella nostra mente. Come possiamo rendere visibili le immagini che vivono nei nostri sogni e nei nostri dubbi?